Abbiamo raccolto le ultime notizie pubblicate da il Sole 24 Ore su Intesa San Paolo, Unicredit e MPS: le tre principali banche italiane. Solo l’istitituto guidato da Carlo Messina naviga a vele spiegate seguendo la rotta tracciata già nel piano d’impresa 2014-2017
Intesa San Paolo chiude il 2016 con il vento in poppa: oltre 3 miliardi di euro di utile netto e dividendi garantiti agli azionisti, anche in caso di m&a. Sono stati questi i numeri enunciati dall’ AD Messina agli analisti, mentre Stefano Barrese (responsabile della Banca dei Territori) era impegnato in riunioni con la rete. In questi giorni si parla di un interesse di Torino per il Leone di Trieste, quelle assicurazioni Generali da sempre tappeto pregiato per il salotto buono della finanza italiana. Intesa San Paolo poi si è distinta per una difesa delle aziende italiane sui mercati finanziari, dalla querelle Mediaset e Vivendi, sino al Corriere della Sera e la Gazzetta dello sport, i principali quotidiani del paese da risanare sotto la guida esperta e attenta di Urbano Cairo. Stride proprio in questi freddi giorni invernali, il contrasto con le altre 2 principali banche italiane, Unicredit e Monte dei Paschi di Siena. Tra rossi di bilancio e nuovi aumenti di capitale, la speranza è che i dubbi e i punti interrogativi su questi istituti vengano presto fugati con nuovi e convincenti piani d’impresa, a garanzia della tenuta del sistema italiano e dei suoi correntisti. Raccogliamo su intesa San Paolo, su Unicredit e su Monte dei Paschi tre articoli dell’autorevole Sole 24 Ore, che approfondiscono per i nostri lettori interessati alla materia, tutti i temi più tecnici negli ultimi accadimenti. Augurandoci per tutti noi italiani, anni a venire più floridi rispetto al terribile penultimo quadriennio 2008-2012 e anche all’ultimo, sino ai giorni nostri.
Ecco i tre articoli de il Sole 24 Ore che abbiamo selezionato su Intesa San Paolo, Unicredit e infine MPS.
Intesa Sp: Messina, cedola su 2017 di almeno 3,4 mld anche con M&A (RCOP)
Ogni operazione deve essere neutrale sul capitale (Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) – Milano, 03-02-2017 – L’impegno di Intesa Sanpaolo a distribuire almeno 3,4 miliardi di dividendi cash sull’esercizio 2017 vale anche in caso di ‘ogni potenziale operazione di M&A’. Lo ha assicurato l’a.d.
Carlo Messina aprendo la conference call sui conti 2016. Ogni potenziale operazione, ha infatti spiegato Messina, ‘deve rispettare due obiettivi finanziari: essere neutrale dal punto di vista patrimoniale, senza dover applicare alcun “capital arbitrage” incluso il danish compromise nel caso di compagnie assicurative, ed essere coerente con le priorita’ di creare e distribuire valore ai nostri azionisti’.
Priorita’ che, ha garantito Messina, saranno confermate nel nuovo piano industriale basato sulla fiducia dell’istituto di ‘generare organicamente forti profitti su base stand alone sia per il 2017 che per gli anni successivi’, grazie a una crescita sia nelle commissioni che nel margine di interesse.
Anche per gli anni successivi al 2017, quindi, Messina ha annunciato che gli azionisti Intesa si devono aspettare, in caso di M&A, la distribuzione degli stessi dividendi che sarebbero stati distribuiti dall’istituto stand alone.
UniCredit in flessione dopo la maxi-perdita
di Marco Ferrando 31-01-2017
Dopo una perdita superiore alle attese e pari a un 11,8 miliardi nel 2016, il titolo Unicredit in altalena. Forti scambi e oscillazioni marcate (partito in ribasso, il titolo ha virato a metà mattinata per poi tornare in rosso intorno alle 12 e chiudere in calo del 4%), ma non il tracollo che qualcuno poteva immaginare dopo i numeri annunciati ieri e a pochi giorni da un aumento da 13 miliardi atteso sul mercato da lunedì ma soprattutto a forte sconto.
Il prezzo della manovra, che per valore sfiora la capitalizzazione di Borsa della banca (oggi intorno ai 16 miliardi), verrà definito domani dal cda della banca. Lo sconto sarà elevato, nell’ordine del 35-40% sul Terp,il prezzo teorico dopo lo stacco del diritto, e quindi finora si procede per stime: gli analisti oggi ragionavano su un valore di poco superiore ai 10 euro, dunque molto lontano dai 25 euro intorno ai quali viaggia attualmente a Piazza Affari (e sarebbero 2,5 se non ci fosse stato il raggruppamento di dieci azioni per una sola una settimana fa).
Tutto questo dopo che ieri, in un cda straordinario, la banca ha approvato una prima stima del risultato dell’esercizio 2016, una cifra che finirà nel prospetto dell’aumento: 11,8 miliardi, si diceva. Un risultato che tiene conto delle svalutazioni sui crediti deteriorati (8,1 miliardi) e sulle partecipazioni, ma anche dei costi di ristrutturazione: tutte voci già previste nel piano d’impresa presentato a dicembre. A cui però, si è deciso ieri, si è aggiunto un miliardo di svalutazioni in più, in gran parte concentrate sulla quota di Atlante, il fondo per i salvataggi a cui UniCredit ha contribuito finora con poco meno di 700 milioni: la banca non ha ufficializzato l’ammontare della svalutazione, ma dovrebbe essere oltre il 60% dell’importo versato (quindi oltre 400 milioni). In ogni caso si tratta dell’anticipo di operazioni che il ceo Mustier aveva già messo in conto nel piano al 2019: di conseguenza, non sarebbero a rischio i target patrimoniali (Cet1 oltre il 12,5%) e utile oltre quota 4,5 miliardi nel 2019.
Perché il titolo oggi non crolla? Perché il lungo elenco di fattori di debolezza denunciati ieri dalla banca e nei fatti messi nero su bianco nel documento di registrazione pubblicato in mattinata, potranno essere superati con l’aumento da 13 miliardi che dovrebbe chiudersi entro fine mese: un intervento-monstre (che si aggiunge ai 7,3 miliardi già incassati con le cessioni di Pioneer, Pekao, del 20% di Fineco) che comunque sembra trovare il favore degli investitori e che pertanto dovrebbe risportare il capitale della banca al di sopra dei requisiti di sicurezza richiesti dalla Vigilanza.
Mps, nuovo vertice con Padoan I soci di Atlante frenano su Siena
di Marco Ferrando 21-01-2017
Le banche quotiste di Atlante frenano sull’ipotesi Mps. Cioè sul fatto che il fondo di Quaestio possa tornare in qualche modo sulla cartolarizzazione degli Npl senesi, pur in uno schema riveduto e corretto (in meglio per il fondo) rispetto a quello definito nell’ambito del piano di mercato.
«Penso che Atlante fosse indispensabile nel momento in cui non c’era l’intervento salva-banche, oggi francamente cerchiamo prima di capire quali sono i contorni di questo intervento pubblico, poi vediamo». Così ha detto ieri l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, a chi gli chiedeva se è giusto che il fondo Atlante debba ancora intervenire per acquistare le sofferenze della banca di cui lo Stato si prepara a diventare azionista al 70%.
A quanto risulta, il pensiero di Messina riflette anche quello di UniCredit, altro maggior contribuente di Atlante, e di qualche altro banchiere: il boccone-Atlante, confezionato quando l’intervento dello Stato non era ancora considerato, è stato pesante da ingoiare e ora si presenta di non facile digestione (c’è chi nelle settimane scorse avrebbe meditato una svalutazione immediata e quasi integrale), dunque è normale che da più parti si spinga per non sprecare le forze, o comunque per «non disperderle», come peraltro ha dichiarato il ceo di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, a proposito dei salvataggi. Comprensibile, dunque, che da più parti si preferisca investire, se proprio si deve, gli 1,6 miliardi restanti sulle due ex popolari venete, di cui Atlante è già socio quasi al 100%, senza dirottarli su Siena. Dove c’è lo Stato pronto a entrare e comandare, peraltro con una dotazione di capitale sufficiente a gestire in house i 28 miliardi di sofferenze.
Per quanto riguarda invece il fronte veneto, il doppio cantiere di Vicenza e Montebelluna è in piena attività e non ci sono ancora contorni certi sul fabbisogno di capitale nè sulla gestione degli Npl. In sostanza, non è scontato che dopo i 950 milioni trasferiti a dicembre da Atlante a titolo di aumento e investendo gli 1,6 miliardi sulle sofferenze delle due banche il problema possa considerarsi risolto; di qui la possibilità di un intervento dello Stato attraverso la ricapitalizzazione precauzionale, decisione che però non è ancora presa e spetterà alla banca insieme al suo azionista, che è proprio il fondo di Quaestio.
Morale: «Atlante potrà decidere solo quando i contorni saranno più chiari, sia a Siena che in Veneto», secondo quanto riferiva ieri una fonte vicina al dossier. E comunque la questione rimane anche politica, con un ruolo determinante del Tesoro: ieri, secondo quanto risulta a Il Sole, i vertici della banca, cioè il ceo Marco Morelli e il presidente Alessandro Falciai, sono stati a Roma dal ministro Padoan, dove si è ovviamente ragionato dei prossimi passi. Sul tavolo c’era il piano industriale da discutere con Bce e Commissione europea, che somiglierà molto – almeno in partenza – a quello presentato a fine ottobre per l’operazione di mercato. Per la gestione degli Npl, invece, rimangono diversi schemi, che di per sè non prevedono per forza il coinvolgimento di Atlante: la gestione interna previa svalutazione, la cessione per tranche (con eventuali cartolarizzazioni, con o senza il fondo di Quaestio), la creazione di una bad bank aperta anche ad altri istituti, ipotesi che però parrebbe non facile.
Dopo l’incontro di ieri, ora la palla torna nel campo di Siena, che la settimana prossima proseguirà nel lavoro di messa a punto del nuovo piano. In parallelo, si lavorerà anche sulla prima emissione con garanzia pubblica: la banca, ha comunicato ieri una nota, ha ricevuto dal Mef «il provvedimento di concessione della garanzia a sostegno dell’accesso alla liquidità», e quindi «ha prontamente avviato le attività propedeutiche alle emissioni». Attese, a questo punto, nei prossimi giorni.
Per il ritorno alle quotazioni, invece, ci sarà da attendere qualcosa in più: «Quando si conoscerà il piano industriale, avallato dalla Bce, i titoli Mps torneranno alle contrattazioni», ha ribadito ieri il presidente della Consob, Giuseppe Vegas.